Il 12 e il 13 marzo 2019 è andato in scena al Teatro Petrarca di Arezzo “I Fratelli Karamazov”, adattamento teatrale del celebre romanzo di Dostoevskij. Lo spettacolo è stato prodotto dalla Compagnia Mauri Sturno e sarà in tournée in tutta Italia fino al 3 aprile al Teatro Savoia di Campobasso. Ho avuto il piacere di incontrare prima dello spettacolo Pavel Zelinskiy, giovane attore italo-russo che interpreta Aleksej Karamazov.
Per introdurre il tuo spettacolo anche a chi non ha letto il libro, volevo chiederti se potresti contestualizzare la vicenda e magari evidenziare alcune differenze tra il romanzo e la storia che porterete in scena.
Proprio perché questa è la storia di un romanzo ed è nata per essere letta e non vista a teatro è stato deciso di farne un adattamento, elaborato a quattro mani dal regista Matteo Tarasco e da Glauco Mauri. Si è deciso quindi di evidenziare alcune linee narrative, in particolare i rapporti tra i tre fratelli Karamazov più il loro fratello bastardo, Smerdiakov, e di evitarne altre, come ad esempio il processo a Dimitri dopo la morte del padre. Un altro tema che secondo me viene spesso alla ribalta è l’esistenza o meno di Dio; ogni personaggio si chiede quindi come vivere, dandosi una sua risposta.

Cosa ci puoi dire invece del tuo personaggio Aleksej Karamazov, ovvero Alyosha?
Lui è uno dei quattro fratelli e trova il senso della sua vita nella fede. Appare all’inizio spettacolo insieme allo starec Zosima, una figura ieratica dell’ortodossia, che lo sprona ad andare in giro per il mondo a servire gli uomini, ma allo stesso tempo incitandolo a stare accanto alla sua famiglia disastrata. È questo che lui cerca di fare: a suo modo vuole stare accanto ad ogni membro della sua famiglia e aiutarlo nel modo migliore possibile per quello che può.
C’è una sua caratteristica particolare che hai voluto mettere in evidenza?
Aleksej Karamazov è molto difficile da recitare per la sua complessità, come del resto tutti i personaggi di Dostoevskij. La difficoltà in questo caso sta nel fatto che lui è un buono, un puro di cuore, ma con delle zone d’ombra. A parole mi viene difficile spiegarlo, perché comunque cerco di restituirlo attraverso la recitazione in maniera emotiva e non razionale.

Se tu dovessi convincere i giovani adolescenti di una classe liceale a vedere questo spettacolo, cosa diresti loro?
Credo che in questo caso sia necessario chiedersi anche perché le persone vadano a teatro. C’è l’esigenza, la necessità di sentir raccontare una storia, quindi è comunque un luogo aperto a tutti, giovani o vecchi che siano. Se dovessi convincere un adolescente, magari della classe di un liceo, vorrei dirgli che è normale che uno spettacolo del genere possa spaventare, sapere di “muffa”, voglio dire.

Andando oltre i pregiudizi però si vede come questa sia una storia che può essere accaduta l’altro ieri. Racconta di una famiglia disastrata da contrasti interni come d’altronde sono le famiglie contemporanee. Inoltre c’è anche la bellezza di vedere una storia raccontata per lo più da attori giovani.
Tu ti sei diplomato all’Accademia Silvio D’Amico di Roma. Che consiglio ti senti dare ad un ragazzo che vuole intraprendere questa strada?
Il primo consiglio che mi sento di dare è di mettersi alla prova attraverso lo studio. Se si sente l’esigenza di raccontare una storia attraverso il palcoscenico bisogna esercitare le proprie capacità, magari all’inizio con una scuola meno impegnativa e poi con un’Accademia professionale. In questo modo ti confronti con dei professionisti e vieni inserito in un contesto che, almeno per me, è stato molto stimolante.
Io sono entrato più tardi in Accademia rispetto agli altri, avevo 27 anni e facevo tutt’altro (ndr: professore di storia) Una volta usciti da quell’ambiente, e alla fine questa è la fase in cui mi trovo pure io, non bisogna avere paura di sperimentare, di mettersi in gioco. È importante capire che tipo di attore si vuole diventare e che tipo di teatro si vuole fare, perché non è detto che ce ne sia un tipo solo.

In questo modo si riesce a costruire anche una propria dignità artistica sulla base della consapevolezza del proprio valore, senza diventare attori che si vendono per fare qualsiasi cosa. In questo lavoro c’è un’ambiguità di fondo tra due dimensioni parallele che lo costituiscono. Da un lato è il tuo lavoro, quindi ci devi pagare l’affitto, le bollette ecc., dall’altro è il tuo percorso artistico personale. A volte queste due dimensioni combaciano, ma spesso no. È qui che va cercato l’equilibrio in base a quello che vuoi fare di questa professione. Si dice spesso che sia una questione di fortuna, ma alla fine se sei sulla strada giusta la vita ti aiuta. Quindi quello che mi sento di dire alla fine è: dipende tutto da te, fallo!
Ultima domanda, o meglio, richiesta: un saluto a chi ci segue dall’Arezzo Crowd Festival!
Sicuro! Un saluto di cuore non solo a chi segue il festival, ma anche a tutti gli organizzatori e i collaboratori che ci sono dietro. State costruendo una realtà davvero bella e innovativa.
Ci sarai al Festival? Si svolgerà dal 30 maggio al 2 giugno.
Assolutamente sì!
Ancora una volta vi ringrazio per avere letto quest’intervista, continuate a rimare aggiornati!
Alessandra Bracciali