Bentornati sul nostro blog! Vi abbiamo detto che il tema dell’Arezzo Crowd Festival della prossima estate sarà Contaminazioni. Concetto ampio e complesso, utile per parlare e confrontarsi su tanti aspetti della realtà. Possiamo usarlo ad esempio per descrivere le relazioni e i vissuti con le persone… è possibile contaminarsi a vicenda, avere amicizie contaminanti, la diversità è contaminante! Ecco, oggi provo a raccontarvi parte della mia esperienza, ovvero di come l’arte e in particolare la recitazione sia stata e sia un ponte per gli amici speciali di cui vi parlerò.

Aprirsi alle diversità, avere sguardi alternativi sulla realtà è sempre consigliabile e ci avvicina alla complessità in cui viviamo. Ma quando la scoperta delle diversità è una scelta, come in un’attività di volontariato, e avviene molto presto e non da adulti, può lasciare ancora più il segno. Questo è quello che è successo a me.

Le persone che mi hanno “contaminata” con la loro unicità, gli amici speciali che negli ultimi dieci anni hanno contribuito alla mia crescita e al mio spessore umano, sono ragazze/i e adulti con disabilità. O meglio, con abilità diverse da quelle che nella media della popolazione siamo abituati a incontrare… e vi garantisco che molte, profondamente umane, mi piacciono molto di più della media delle “abilità” che si manifestano nella quotidianità! Ad esempio, siamo tutti un po’ dis-abili nell’accogliere chi incontriamo e nell’abbracciare le nostre fragilità: loro invece, accanto ai propri limiti congeniti, queste risorse ce le hanno eccome. Ma gli amici speciali di cui vi sto parlando sono andati molto oltre, verso la bellezza, verso l’arte!

In particolare attraverso la recitazione sono riusciti a creare un solido ponte che li ha portati ad entrare nel mondo cinematografico vero e proprio. Iniziammo per divertimento a registrare dei video in cui loro facevano i protagonisti e, acquisendo sempre più capacità e strutturandosi il progetto, è nata una vera e propria casa cinematografica, la Poti Pictures. È con molto piacere che ho invitato a parlare il fondatore, nonché regista, Daniele Bonarini che nelle prossime righe ci porterà dentro questa realtà unica nel suo genere nello scenario mondiale.

M: Ciao Daniele! Parliamo anche oggi della Poti Pictures e vorrei chiederti in che modo e in che senso secondo te è avvenuta una “contaminazione” fra te, voi della troupe, e gli attori “speciali”?

D: I ragazzi (anche se ragazzi molti ormai non lo sono più!) sono un bel catalizzatore di emozioni, un mezzo per tornare ai nostri bisogni più profondi, come la relazione umana e quel lato infantile, vero che ognuno tiene nascosto da un certo punto della propria vita. Sulla base di questa consapevolezza, abbiamo considerato questo potere la vera forza dell’attività produttiva e progettuale della Poti Pictures e creare percorsi didattico-cinematografici con la consapevolezza che questo fosse un valore imprescindibile è divenuto il fattore determinante della nostra offerta creativa, il vero valore aggiunto.

Ogni singola persona, professionista che sia approdato ai nostri percorsi, è stata catturata da questa “umanizzazione” naturale e si è fatto, nella maggior parte dei casi, travolgere da essa divenendo protagonista a 360 gradi dei progetti Poti Pictures. Riteniamo infatti che investendo la propria umanità, oltre che la professionalità personale, il risultato finale acquisti tutto un altro valore e i ragazzi sono il nostro miglior mezzo per rendere questo possibile. In molti casi i set sono dei luoghi asettici, dei luoghi di lavoro dove non si scambia una parola tra i vari reparti o dove addirittura esistono delle vere e proprie differenze sociali che sfociano, come nei normali contesti lavorativi, in discordie e conflitti.

La totale assenza nei nostri ragazzi di preconcetti ha sempre facilitato l’unione di tutte le persone coinvolte, creando ambienti ricchi di armonia. In questo senso ogni persona coinvolta vive diversamente il suo lavoro e i suoi doveri e si sente davvero parte di qualcosa di speciale.  A distanza di mesi, dopo le riprese di un cortometraggio che ha visto l’impiego di una troupe di 25 professionisti, ricevo ancora telefonate da molti di loro che mi ringraziano per come questo progetto abbia cambiato la loro percezione della disabilità e sia stato il più ricco dal punto di vista umano al quale abbiano mai partecipato.

M: Grazie mille, e in che modo, secondo te, la diversità e le diverse abilità dei vostri attori possono essere una risorsa per chi vi guarda?

D: La vera inclusione sociale avviene attraverso percorsi lunghi, spesso difficili e faticosi dove si è costretti a relazionarsi con la persona che si ha davanti e ad abbattere quella diffidenza e quel pregiudizio iniziale. Solo partendo da questo presupposto fondamentale e passando attraverso una conoscenza non superficiale della persona in tutta la sua interezza si può arrivare a considerare “l’altro” come una risorsa. Il grande rischio in cui si incorre, nel guardare una persona con disabilità, è fermarsi subito a ciò che non riesce a fare e mai a focalizzarsi sulle reali capacità. I ragazzi stessi si fermano alle disabilità perché in pochi contesti, a partire dalle famiglie, sono stimolati a sviluppare le abilità.

La Poti Pictures ha fatto tesoro di questo concetto e cerca di trasmetterlo anche nelle proprie opere cinematografiche mostrando fin da subito i difetti, le difficoltà oggettive dei nostri attori senza pietismi ma sempre con ironia e leggerezza. Una volta mostrato il lato debole, le disabilità appunto, la storia deve evolversi, la narrazione deve assumere un’altra prospettiva, proprio come nella vita, e deve essere messo in evidenza quel lato umano fatto di sogni, di speranze e di fratture interiori che ognuno di noi ha nel proprio bagaglio emozionale. In questo siamo tutti uguali e “l’altro” diventa risorsa nel momento in cui comunica qualcosa, smuove la nostra parte più profonda e permette di entrare in empatia con lui.

Impegnarsi totalmente andando contro anche alle resistenze psicofisiche della propria patologia, mettere tutta l’energia per raggiungere un obiettivo e voler mostrare le proprie capacità ad ogni costo, diventa stimolo e ispirazione per chi ci sta accanto o chi ci guarda.

L’impegno della Poti Pictures è creare percorsi in cui i nostri ragazzi prendano coscienza delle proprie capacità, affrontando gli spettri personali e imparando a gestire le proprie emozioni davanti ad una macchina da presa per mostrare se stessi allo spettatore. In questa maniera si ha un vero contatto con lo spettatore che ride su quegli aspetti sui quali solitamente non si può ridere, che si commuove non per pietà ma per pura empatia, che sogna e spera le stesse più profonde necessità dei nostri protagonisti.

Non finirò mai di ringraziare abbastanza Daniele non solo per la sua testimonianza in questa occasione, ma per l’impegno, la fede e la perseveranza che hanno permesso a un sogno di diventare una realtà meravigliosa e di fare incontri umani come la Poti Pictures. Adesso che li conoscete, vi consiglio di seguirli online nelle loro avventure e infine, per capire meglio come è nata e si è costruita questa bellissima attività, che coinvolge tante altre persone di cui per motivi di spazio non vi ho parlato qui, è uscito da poco il libro Ollivud di Andrea Dalla Verde, che sotto forma di romanzo ricostruisce la storia di questa speciale casa cinematografica.

Grazie di cuore ai nostri amici speciali!

Marta Zammuto