EXHIBITIONS
BORJA BLANCO COCHON
“La mia visione del legno“
Sala Sant’Ignazio, Arezzo
Bio
Borja Blanco Cochòn nasce il 25 febbraio 1991 nei pressi di Pontevedra in Galizia, dove trascorre l’infanzia e l’adolescenza. Accudito dai nonni, Cochòn mostra una fervida curiosità per gli attrezzi del nonno – un muratore – tant’è che, già a dieci anni, egli riesce a destreggiarsi con seghe, martelli, pialle, sgorbie et similia, e, allo stesso tempo, riempie interi quaderni di disegni e progetti che prendono vita attraverso la manipolazione di argilla, cemento e, soprattutto, legno. Cochòn intraprende studi artistici presso la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, tuttavia, durante gli anni scolastici non si dedica solamente all’affinamento delle proprie doti scultoree ma, stimolato dalla sua innata audacia, pratica sport estremi. La necessità di mettersi alla prova stoicamente, di spingersi verso il miglioramento mediante il sacrificio e di affinare i propri riflessi, raisons d’être di tali pratiche fisiche, sono elementi che, in modo spontaneo, l’artista ha emigrato successivamente all’interno della propria estetica, rendendola irripetibile ed incomparabile. Conclusi gli studi nel 2010, il giovane Cochòn, non ancora ventenne, subisce un forte trauma, dovuto alla morte di una amica, che lo cambia radicalmente: da imperturbabile adolescente, diviene contrariamente un uomo consapevole dei propri sentimenti e capace di esprimerli. Ancora scosso a causa del lutto, Cochòn decide di candidarsi per l’assegnazione della borsa di studio relativa al “Programma Leonardo Da Vinci”, che riesce ad aggiudicarsi per meriti curriculari. Questo traguardo conduce il giovane nella provincia di Arezzo. Nel corso del soggiorno italiano, Cochòn inizia a costruire uno studio personale ai confini con la Val Tiberina e, nel frattempo, si avvicina a nuove discipline sportive quali l’ippica e l’equitazione, nonché a nuove tecniche scultoree per mezzo di attrezzatura impropria come motoseghe e seghe elettriche di vario genere. Esclusivamente assemblando tra loro i fattori sin ora esposti è possibile comprendere l’entità della concezione estetica di Cochòn: la sua produzione, effettivamente, non può essere considerata integralmente frutto della sua personalità, dacché essa si configura, piuttosto, come un dialogo – lungo molti mesi, talvolta anni – tra l’artista e la materia, ovvero il legno, che si evolve in un divenire imprevedibile e sconcertante, atto incontrovertibilmente all’elevazione oppure all’annientamento dell’intervento umano. Sicuramente la manifattura è rapida e risoluta – quantunque doviziosamente calibrata a priori – tuttavia essa viene interrotta a più riprese onde attendere la risposta del ciocco, il quale muta la propria forma, crepandosi, indurendosi e piegandosi. La sostanza del bosco, perciò, si coniuga magistralmente con l’eccitazione dello sport estremo, giacché i grossi tronchi dai quali lo scultore ricava i propri manufatti, nascondono puntualmente insidie imponderabili nella consistenza interna, ampiamente discontinua, che determina la compattezza complessiva delle sculture: la riuscita del lavoro, quindi, è una scommessa che si basa sulla fiducia che l’individuo ripone nella natura, cioè nella materia sulla quale agisce e nell’istinto di cui egli è partecipe. [tratto da “Scissioni istintuali” di Jacopo Bucciantini]