Intervista ad Andrea Biagiotti e Amina Kovacevich, il direttore e la presidente della Libera Accademia del Teatro di Arezzo.

Oggi scrivo di un pezzetto di cuore. Mi ero ripromessa di non essere sdolcinata, ma è la verità. Sono ritornata nel luogo del delitto, nella tana del lupo. Sono ritornata alla Libera Accademia: definirla solo come la mia scuola di teatro è abbastanza riduttivo. Ho iniziato a 16 anni e lì ho passato tre anni della mia adolescenza.

Dopo il pranzo a base di uno sfilatino con prosciutto crudo, pecorino e salsa ai peperoni una volta a settimana mi rifugiavo nelle braccia del posto in cui ho avuto per la prima volta la sensazione di sentirmi al sicuro. Ha scavato e tirato fuori parti di me che ho tentato spesso di nascondere. Ha fatto nascere quei sogni che, anche se mi sembrano troppo più grandi di me e spesso neanche riesco a dirli per paura che se ne vadano via, oggi almeno riesco a guardarli in faccia.

Incontro di nuovo Amina Kovacevich, che anche se non è stata la mia insegnante mi riempie di dolcezza con un solo sguardo. Incontro di nuovo anche Andrea Biagiotti, il Biagio, di cui invece sono stata allieva. Lui lo vedrete dopo che tipo è. All’inizio io farò finta di essere un tipo istituzionale, ma alla Libera Accademia non si finge e noterete come i miei tentativi siano andati in fumo.

Inizio sentimentale con foto sentimentale
“Le meraviglie del paese di Alice”

Ormai nella realtà aretina la Libera Accademia è un’istituzione (ndr il Biagio sorride). Vorrei iniziare quindi con una domanda un po’ nostalgica. Cos’era la Libera quando ancora non esisteva ed era solo nelle vostre teste?

Biagio: Più che nelle teste era nelle pance. In effetti ci abbiamo messo quasi nove mesi per partorire la creatura, ed eravamo solo in cinque al tempo. Da una parte ci siamo organizzati per quanto riguarda l’idea e le cose più burocratiche. Dall’altra parte questa creatura aveva bisogno di una culla. La signora qui presente ed altri gruppetti si sono sparsi in giro per Arezzo a cercarla, questa benedetta culla.

Amina: Successe questa cosa carina: vedi, noi volevamo un posto in centro. Siamo tutti nati nel centro storico e il nostro sogno, da professionisti che stavamo diventando, era quello di crearla lì questa realtà. Volevamo che fosse il nostro luogo di partenza, la nostra casa a cui ritornare e da cui poi ripartire.

Fu così che un giorno mentre eravamo qua vicino, parlammo con un signore anziano che stava lavorando e gli spiegammo il posto che stavamo cercando.  Lui ci rispose: “eh, andate ‘ndu ballavino”. Io e Francesca (ndr: Francesca Barbagli, anche lei è stata una mia insegnante alla Libera. Ciao Franci, ti voglio bene!) abbiamo iniziato ad aggirarci per queste stradine senza trovare nulla. Ad un certo punto un altro signore ci chiese cosa stessimo cercando, noi gli spiegammo tutto e ci disse: “Ce l’ho. Vado a prendere le chiavi”. Era il proprietario di tutto il palazzo ed è il nostro padrone di casa da 22 anni. 

Biagio:  Il quel periodo iniziarono le ristrutturazioni, noi intanto lavoravamo in uno stabile qui vicino che ci concessero per due/tre mesi finché non fu tutto pronto.  Ci siamo innamorati di questo posto, perché queste volte che vedi tu sopra la tua testa sono parte di un ambiente molto evocativo. Per fare teatro serve anche questo, un luogo adatto a far sì che i sogni, le emozioni e le fantasie vadano più libere possibile.

Per quanto riguarda i corsi che offrite, so che voi qui fate teatro per tutte le età: dai corsi per i bambini fino al teatro d’argento per gli over sessanta. Qual è la differenza tra il modo in cui si approcciano i bambini, gli adolescenti e gli adulti al fare teatro?

Amina: Per quanto riguarda i bambini, ci sono da considerare le diverse fasce di età. Ci sono i corsi prescolari come Creabilandia, ad esempio. Sono laboratori brevi per bambini dai quattro anni in su. Lo scopo principale è quello di farli giocare; il corso si svolge in un arco di otto/dieci incontri circa e si conclude poi con una lezione aperta finale.  L’approccio ludico permette di insegnare tutto, anche i rudimenti della respirazione diaframmatica e ovviamente l’esercizio della memoria.

Per quanto riguarda la fascia delle elementari, anche lì noi li dividiamo in due gruppi: uno di prima e seconda, un altro che arriva direttamente fino alla quinta. Tra un bambino di sei anni e uno di undici c’è chiaramente un abisso. Con i bambini più grandi si può già affrontare un primo lavoro sul personaggio, sulla sua storia e le sue relazioni; con chi ha appena iniziato la scuola invece  è una via di mezzo tra il gioco totale e un approccio iniziale alla teatralizzazione.

 Nel caso delle medie inferiori dipende un po’ dal gruppo. In alcuni casi ci sono allievi che pur essendo all’inizio delle medie sono più maturi della loro età, perché magari hanno iniziato con Creabilandia e vengono trattati come un corso di superiori. Altre volte invece è necessario persistere ancora di più sull’aspetto del gioco, per poi partire ovviamente con la caratterizzazione dei personaggi vera e propria.

La fase che riguarda i ragazzi è volta maggiormente all’approfondimento del sé, della propria conoscenza  interiore e anche di una crescita nei valori personali quando si tratta di approcciarsi con l’altro. La priorità è quella di farli stare bene con se stessi, attraverso questo strumento straordinario che è il teatro. 

Biagio: E poi c’è l’adolescenza, e tu qui ne sai qualcosa. Tra avere quindici anni e averne diciotto c’è un mare immenso. È il momento in cui inizi ad entrare in contatto con quella parte di te che è in piena evoluzione vulcanica. A quindici anni si inizia ad imparare il rispetto consapevole delle regole che hanno appreso a livello ludico precedentemente. Dopo di  questo,  si comincia ad avere un rapporto scenico di relazione con l’altro. Significa affrontare la parte dell’ascolto e del processo che ne deriva, di azione e reazione.

Ovvero non anticipare le battute e dirle l’una in conseguenza all’altra, vero?

Per esempio. (ndr: qui c’è la finta occhiataccia). Poi anche iniziare a capire come leggere tra le righe di un testo, perché ovviamente non è mai come sembra in superficie.

Differenza tra significante e significato.

Brava. (ndr, ride.) Vedo che ti ricordi e questo mi fa molto piacere. Lo si fa a vari livelli, sbucciando la cipolla. Chi ha più voglia di piangere arriva più in fondo. – Piangere metaforicamente, ovviamente.-  Poi si diventa adulti, per così dire. Lì le cose cambiano molto.  L’adulto che inizia a fare teatro da adulto deve scardinare una serie di meccanismi che ha compresso. Mettersi in gioco rispetto ad un ragazzo più giovane è più difficile: la stessa arte ludica è diversa ed anche un po’ dimenticata. Questo perché nella fase post adolescenziale le cose cambiano molto. Magari succede che si smette di fare teatro e si diventa seri, o meglio, seriosi.

Quando poi apri il vaso di Pandora inizia il divertimento nel senso nobile del termine e quando c’è questa base si può iniziare a fare di tutto. Michelangelo diceva: “la pietra sa, conosce la forma.” Il nostro compito è proprio quello, ovvero di togliere il diverso. Da lì poi si va verso il teatro d’argento.

Amina: Sì, e comprende tutti quelli che iniziano a fare teatro quando ormai non sono più giovanissimi, ecco. I corsi per adulti invece possono comprendere sia il ventenne, sia il quarantenne che il sessantenne.

Biagio: Lì lo scambio inizia ad essere veramente interessante, perché tutti si mettono a giocare allo stesso gioco, ma portando ciascuno le proprie esperienze.

E quindi in che modo fare teatro può migliorare la vita di una persona?

Biagio: Parto io, che ce l’ho sulla punta della lingua (ndr: e ti pareva). In tutti i modi possibili, in base alla propria età. L’esempio più banale è quello di riuscire ad esprimere quello che sei e quello che sai. A scuola magari, quando hai quindici anni e stai studiando. L’ansia, l’emozione talvolta non ti permettono di esprimere quello che studi. Imparare a gestire questa cosa qua ti permette di portare fuori ciò che prima già sapevi, ma non riuscivi a comunicare. Stessa cosa vale per gli adulti, per chi in particolare deve coordinare un gruppo di persone. L’efficacia di questa comunicazione cambierà il risultato finale del tuo lavoro.

Tra i quindici e i diciotto si scatenano però anche quelli che vogliono fare gli attori. Lì ti devi approcciare in modo diverso.  Significa voler comunicare qualcosa per mestiere; questo però riguarda solo quella fascia di età, in cui devi decidere cosa fare della tua vita.

Amina: Il miglioramento lo si vede anche nei rapporti interpersonali. Nei gruppi di teatro si crea un’armonia e un’amicizia che rimane nel tempo perché il tipo di attività che svolgi ti mette talmente a nudo che l’unione che si crea diventa molto forte. Nei corsi per adulti l’insegnante si cambia praticamente ogni anno, perché è il gruppo che fa la differenza trovando il suo equilibrio. L’insegnante poi ha un modo di relazionarsi e di lavorare diverso anche nella metodologia. Gli allievi spesso si trovano magari un po’ spiazzati all’inizio o anche in soggezione di qualcuno di noi.

Il Biagio alza la mano.

Pensa che ci sono allievi che hanno pure soggezione di me, sono ancora sconvolta. 

Ognuno di noi ha la sua maschera: io sono la Mamma Cosmica, quella buona, mentre il Biagio è quello cattivo e Uberto quello burlone.

Biagio: Mi fa ridere dire questo a lei che lo sa benissimo. Parlavamo prima delle fumate (ndr: incazzature)che facevo durante le prove di Vita di Galileo.

Mi ricordo ancora  l’occhiataccia che mi lanciasti una delle rarissime volte che arrivai senza avere imparato le battute.

Biagio: E che ti dissi?

Nulla, bastò l’occhiataccia.

Ho reso l’idea?

Tornando seri, si fa per dire. Oltre che di formazione voi vi occupate anche di produrre i vostri spettacoli e quindi vorrei chiedervi se c’è un filo conduttore nella ricerca che avete portato avanti fino ad ora. E poi, secondo voi, qual è la loro mission?

Amina: Direi che è quella didattica formativa, che li accomuna un po’ tutti quanti. All’inizio siamo partiti noi, facendo i nostri spettacoli. In seguito abbiamo in molti casi coinvolto dei nostri allievi.

Biagio: Una mission tematica invece non ce la siamo mai posta. Abbiamo cavalcato dei testi che ci hanno intrigato e interessato teatralmente parlando. Non ci siamo mai posti come obiettivo la volontà di raccontare un’unica storia e un unico filone. Per la maggior parte non ci siamo approcciati ai classici, che significherebbe creare un impianto scenotecnico che sarebbe difficile mettere su in una produzione privata come siamo noi.  La scelta è basata sull’intuizione di uno o più di noi e sulla volontà di costruire qualcosa insieme.

Qualche piccola anticipazione su quello che farete per l’Arezzo Crowd Festival?

Amina: No dai, deve essere una sorpresa.

Neanche creare un po’ di suspense?

Amina: Mmm… che dici Biagio? Ce la mettiamo la suspense?

Biagio: (ndr: riflette profondamente come lui solo sa fare). Sì, dai. Ti dirò questo: c’è molta più azione nella non azione, che nell’azione stessa.

No, non ci posso credere. Concludo l’intervista pure con la frase filosofica del Biagio. È meraviglioso.

Alessandra Bracciali