
È stato il caso a porci davanti il termine “icore”, l’immortale sangue degli dei, finissimo portatore di vita e speciale energia.
Nelle fonti classiche viene descritto come bianco, talvolta dorato, e quasi impalpabile, vitale e letale allo stesso tempo, raro in purezza ma universale in essenza.
Prima dell’inizio
Non è sempre semplice che un’idea si trasformi in azione, ma diventa inevitabile quando si è spinti dalla pura volontà di dare contorno ai propri desideri. Fu così che nel 2015, durante il nostro primo anno di Magistrale, Oretta mi propose di fondare una compagnia. Inizialmente, l’idea era quella di creare una collaborazione utile a entrambi per sviluppare, sperimentare e realizzare i vari progetti di spettacolo che avevamo in mente. In questo senso, si parlava di un lavoro di squadra in cui potevamo aiutarci a vicenda, ma nel quale era possibile muoversi con libera autonomia. Pur avendo condiviso varie esperienze teatrali e laboratoriali (tra cui il lavoro su I rifugiati coatti di Elfriede Jelinek tenuto da Claudio Longhi), l’iniziativa di dare forma in modo ufficiale a questa collaborazione rimase momentaneamente sospesa. Soltanto svariati mesi dopo ne riparlammo, coinvolgendo questa volta Azzurra Manetti, amica e collega che si è dimostrata fondamentale in due spettacoli dell’Associazione Culturale Thalìa curandone le scenografie e i costumi, nonché assistendomi con la regia.

Dalla Croazia a Bologna
Durante l’estate del 2016 i nostri incontri divennero sempre più frequenti, fino a convivere insieme in Croazia per più di una settimana, dove parlammo del nostro progetto: pensavamo a diversi modi in cui potevamo dividerci il lavoro, cercavamo dappertutto un nome che in qualche modo rispecchiasse quello che eravamo e che volevamo essere, immaginavamo storie da cui avremmo tratto ispirazione. Cercavamo di individuare quella che poteva essere la nostra identità in quanto gruppo, e questa è stata forse la prima difficoltà che abbiamo avuto. Non sapevamo come definire la forma di qualcosa che ancora non esisteva, non avevamo mai lavorato tutti e tre insieme ad un progetto artistico nato da zero e sapevamo inoltre di avere diverse visioni sul teatro. Ci era dunque impossibile immaginare quali potevano essere i risultati di questa nostra iniziativa, ciò che ci spingeva era un impulso bislacco, senza risposte né certezze, ma assolutamente vivo e intenzionato ad uscir fuori.

Ogni giorno emergevano dalle nostre domande più dubbi che risposte, come dei bambini continuavamo a trarre dalle domande dell’uno nuovi dubbi per l’altro, e fu così che ci accorgemmo che il cardine fondamentale della nostra collaborazione era ed è l’eterogeneità. C’erano tanti elementi che ci differenziavano e quindi che permettevano di completarci. Ognuno di noi veniva da una lingua, una cultura e una percezione diversa e tutto ciò era evidente dalle proposte dei nomi che rispecchiavano, inizialmente, eterogeneità e polivalenza. Soltanto in un secondo momento è sorto un nome che, per noi, rispecchiava un senso di unione. Questa era la connotazione alla base del nostro logo: il cuore come fonte di sangue composto da filamenti di vene che creano una rete che accoglie, esplora e unisce.
Chi vuole essere milionario?
Ricordare il momento in cui è finalmente nato il nome di Icore ci fa sempre un po’ sorridere, poiché è sorto durante la residenza a Fiume in delle condizioni piuttosto particolari. Infatti dopo svariati giorni di confronto, in cui non riuscivamo comunque a giungere a una decisione, una sera tra fumo e qualche birra, eravamo pronti per andare a letto e concludere la nostra giornata quando Azzurra e Oretta hanno iniziato a giocare a Chi vuole essere milionario? su un cellulare, mentre io mi addormentavo. La mattina successiva mi hanno raccontato che tra le più svariate domande era comparso un termine che a loro era piaciuto tantissimo. Il loro entusiasmo e il modo assurdamente semplice in cui era successo tutto bastarono per convincermi. Così, il 13 settembre 2016 abbiamo costituito ufficialmente a Bologna la nostra triade teatrale “Icore”.

Il primo biennio di lavoro
I primi due anni di attività, il primo in particolare, sono stati per noi momento di forte sperimentazione con la creazione di vari spettacoli. Poco a poco abbiamo iniziato a giocare meno timidamente in luoghi diversi, proponendo i nostri lavori non solo nei piccoli spazi teatrali della città quali il Teatro del Navile e il CostArena, ma anche in case, piazze e discoteche. Uno dei nostri obbiettivi sin dall’inizio era quello di creare un senso di comunità non soltanto tra spettatori e attori, ma anche tra diverse realtà culturali: volevamo promuovere la formazione di una rete fatta di occhi, pensieri e visioni differenti unite dal medesimo fervore. Fu questa stessa energia a farci bastare la piccola stanza di un ragazzo del gruppo, trasformata in una minisala pronta ad ospitare corpi in movimento e in ascolto, quando ancora una sala vera e propria non c’era. È quel fervore, quel fisiologico bisogno dell’altro per stare bene dentro sé, che ci tiene incollati in una stanza ore e ore senza che il tempo abbia più una misura, e lo spazio ancor meno.
Credo che sia stato soprattutto nel corso del secondo anno, dopo che Leonardo Sbabo e Federico Gnesutta erano diventati parte integrante del gruppo, che abbiamo acquisito maggiore consapevolezza sia a livello personale che artistico. Determinanti sono state esperienze come Cyberdramma, spettacolo ibrido ed “elettronico”, presentato sotto forma di studio al Loft Kinodromo e successivamente allo Studio54, e Godot sono io, primo progetto che ci ha portati fuori casa quando è stato accolto dal Festival Arzibanda in Abruzzo.
Entrambe ci hanno profondamente segnato, aiutandoci ad individuare limiti e possibilità, nonché il desiderio di approfondire i rapporti con lo spazio come ambiente o environment, lo spettacolo come esperienza da vivere e non riprodurre, in cui far emergere la creazione di un personaggio dall’interno di chi gli darà vita.
Grazie a questi due progetti abbiamo conosciuto Elena Biagini, performer e coreografa con cui ancora manteniamo stretto rapporto, nonché i più recenti componenti del gruppo: Alice Citarella, Andrea Meloni e Aurora Del Re.

I laboratori
Da qualche tempo, dopo il primo laboratorio La rappresentazione del potere, in cui si rifletteva sulle varie dinamiche di potere, la nostra attenzione si è rivolta verso il tema dell’abitare e della casa, nel suo oscillare tra dómos e oikos, attraverso il concetto di senso di appartenenza a un determinato luogo o a una particolare lingua, nell’idea di un mondo sempre più denso di interculturalità.
Il primo passo concreto di questa ricerca è il laboratorio che stiamo organizzando insieme al Labàs,specificando che non si tratta tanto di un corso di teatro finalizzato all’acquisizione di tecniche speciali quanto di un luogo di condivisione e confronto aperto a tutti. Uno spazio in cui si intende cercare insieme il significato di “sentirsi a casa” o “sentirsi straniero/forestiero” e su come questi significati possano essere tradotti in linguaggio teatrale. Animali Domestici è stato il nome che abbiamo scelto non solo per il laboratorio di quest’anno, ma anche per quel macro progetto che ingloba le varie attività tramite cui esploreremo un argomento profondamente intimo quanto politico, soprattutto nel contesto storico odierno. L’uomo in quanto animale (razionale) che crea e vive nella grande casa, addomesticato dalle regole e consuetudini che lo circondano: ecco il nucleo del lavoro che svolgerà la compagnia nel suo terzo anno di vita.
Daniel Vincenzo Papa De Dios