Graces è uno spettacolo di Silvia Gribaudi, danzatrice e coreografa, amante dei corpi, di tutti i corpi.
Le sculture mitologiche sviluppate da Antonio Canova, tra il 1812 e il 1817, si tramutano in tre corpi di uomini e uno di donna, dentro a un’opera scultorea che li porta in un luogo e in un tempo sospesi tra l’umano e l’astratto, dove maschile e femminile si incontrano, danzando al ritmo stesso della natura.
Abbiamo scambiato due chiacchiere con Silvia per riflettere sulla sua ricerca nella performing art, che passa dalla comicità e dall’empatia estrema con il pubblico.
Vorrei proporti un gioco, un divertissement che ci fornisca qualche spunto di riflessione. Se tu dovessi scegliere uno status su cui creare una coreografia, preferiresti la pace interiore o il tumulto?
Beh, il tumulto.
C’è un aspetto provocatorio nel tuo linguaggio coreografico?
Io non mi sento di provocare. Dai feedback che ricevo credo che in parte ci si riferisca al mio uso della comicità.
Il corpo è sempre al centro della tua ricerca, così come l’identità di genere. Si può comunicare questa identità anche attraverso l’umorismo?
L’umorismo per quanto mi riguarda è fondamentale. Nella mia natura è un modo di studiare e di rappresentare la realtà, anche quella più profonda, attraverso un umorismo “serio”, che non è fare parodia o prendere in giro, ma è realmente riuscire a trovare un modo per parlare di certi argomenti rispetto al corpo. Ad esempio in Graces noi danziamo un pezzo classico, un valzer. Lo facciamo con grande serietà, impegnandoci con i nostri corpi.
Spesso immaginiamo che alcune esperienze di danza classica le possano fare solo quelli che hanno un certo tipo di linee o un certo tipo di tecnica. Il piacere della danza, così come il piacere della tecnica, è per tutti. Danzare tecnicamente bene ciò che in realtà siamo abituati a vedere solo eseguito da ballerini classici, per me non è fare parodia della danza classica, ma è dire anch’io lo posso fare e posso esprimere bellezza. Anche se non ho la fisicità della ballerina classica.

Parliamo di Graces. In questo lavoro il maschile e il femminile si incontrano… e cosa si dicono?
Graces lascia aperta la questione. Sicuramente c’è un dialogo rispetto a quello che ci immaginiamo che un maschile debba essere e un femminile debba essere, in base a come ci muoviamo, a come siamo rassicurati dalle icone. In questo caso, i tre corpi maschili che danzano rappresentano le Tre Grazie di Antonio Canova. Ispirazioni mitologiche delle figlie di Zeus che erano divinità benefiche, che diffondevano splendore, gioia e prosperità e mettevano in relazione il mondo umano con quello naturale. Queste qualità possono essere sia maschili che femminili. È un continuo dialogo tra il corpo e il modo di esprimere sé stessi nella danza, e se alcuni gesti sembrano più maschili o femminili questo dipende dal nostro sguardo e dalla nostra cultura. A me piace pensare che le due cose si fondano, e il maschile e femminile non siano così facili da definire.
Cos’è per te la bellezza?
È una continua scoperta.
Ci vuole coraggio per accettare l’idea che la perfezione non esiste?
Penso al lavoro di tutti i giorni nel fare arte. Attraverso l’umorismo si possono creare delle strutture che tecnicamente destrutturano la perfezione. È un grado di approfondimento tecnico sulla libertà, la libertà vera. È quella che ti permette di destrutturare te stesso e ciò che pensi sia un punto fisso della tua vita, che è fermo rispetto a un’estetica. Mi interessa questa costante trasformazione della vita, del gesto, della danza, delle nostre credenze, questa continua possibilità di essere liberi. Stavo riflettendo sull’etimologia della parola divertente. Una cosa divertente non deve essere per forza non intellettuale o non piacevole o non abbastanza alta. Mi piace dare valore a quello che è divertente. Anche questa è bellezza. Poter ridere di tutto, non in maniera dispregiativa, ma sempre creando un pensiero, che è diverso dal prendere in giro.
Che rapporto hai con il tuo corpo e con il corpo degli altri, che muta, invecchia, ingrassa o dimagrisce?
Ho 45 anni e vedo il mio corpo che sta cambiando, soprattutto per quanto riguarda l’età. Non è facile osservare il cambiamento, penso di avere un rapporto conflittuale, ma anche di scoperta e di accettazione di quella che è la trasformazione in atto. La vecchiaia è complicata da accogliere perché non è solo un fatto estetico, senti proprio un’energia diversa. Devi scoprirne un nuovo valore. Viceversa amo i corpi degli altri, adoro qualsiasi tipo di fisicità. Come coreografa sono ispirata da qualsiasi forma. Magro, grasso, alto, medio, lungo, basso, normale, non normale. Ultimamente mi chiedo cosa è normale. Mi piacerebbe fare una open call per i “normali”. Facciamo sempre le open call per queer o per chi si sente diverso, o per gli over 60. Se la facciamo per chi si sente normale mi piacerebbe vedere chi partecipa. Per esempio io il grasso non l’ho mai visto come un problema.
Il grasso nella danza offre tantissime opportunità: spesso io uso l’acqua, e più hai parti grosse, più puoi scivolare. Anch’io sono ingrassata a un certo punto della mia vita. Il grasso lo associo alla forma delle nuvole, è estremamente poetico, anche nel mio corpo. Mi diverte, mi piace usare parti meno compatte, che quando mi muovo ballano, lo trovo molto bello. Adesso nel mondo ci sono danzatori di tutte le taglie e dimensioni, il giudizio è solo lo specchio della società e della propria cultura. Io mi innamoro del performer, del talento della persona, e anche sul mio corpo mi sono sempre divertita a lavorare sulle parti più morbide. La danza si è evoluta e c’è spazio per tutti, anzi forse la danza è l’unico luogo dove più i corpi sono particolari e hanno caratteristiche originali, più si può emergere.

Qualcuno mi ha detto che sei un’addicted di Un posto al sole.
(Ride) È vero. Lo guardo ed è l’unica cosa che mi rilassa mentalmente. Finito uno spettacolo ho tanta emozione dentro, la classica adrenalina, e spesso non riesco a dormire. Guardare Un posto al sole mi appiattisce il cervello e mi rilassa.
Essere donna significa essere dalla parte delle donne? A volte si leggono critiche feroci delle donne proprio contro altre donne.
Spesso il mio lavoro è stato visto come qualcosa dedicato al femminile, qualcuno lo ha giudicato così, ma non è che io mi sia mai votata espressamente al femminile. Mi è capitato negli anni di lavorare con donne e adesso sto lavorando con tre danzatori. Mi sento abbastanza libera nelle mie scelte. Io faccio delle cose perché le amo, mi appassionano dei movimenti, movimenti proprio fisici, li sposo e li faccio. Poi chi guarda da fuori decide che quello che faccio è spirito di rivoluzione del corpo, magari del corpo femminile, ma è più qualcosa che gli altri ti mettono addosso. Se quello che ho fatto finora ha permesso a tantissime persone di ricominciare a danzare sono felicissima. Se mi chiamano a fare delle rappresentazioni all’interno di manifestazioni dedicate al femminile, perché vedono che quell’opera può essere manifesto di qualcosa che rappresenta i diritti umani delle donne, io sono molto felice.
Sarebbe lo stesso anche per quanto riguarda i diritti degli uomini. Però non parto da questo presupposto per lavorare. Io mi sento molto maschile e femminile insieme, e penso spesso anche alla rivoluzione dell’uomo in questo momento storico, a come anche l’immagine del maschile si presenta nei cartelloni pubblicitari, a quanto sia difficile per l’uomo essere uomo nella sua sensibilità. A livello professionale ho sempre sentito molta complicità. Forse è più facile che le donne capiscano il mio lavoro, ma spero che questo sia solo uno stereotipo che ho in testa.
A proposito di critiche, mi è capitato di leggere alcuni commenti nell’intervista che ho rilasciato a Freeda. Parlavo della mia storia personale e alcuni hanno scritto «è bruttina, meno male che ha trovato nella danza un modo per sentirsi bella». È stato divertente. Non mi era mai capitato che qualcuno mi scrivesse che ero brutta esteticamente. Mi ha fatto davvero molto ridere. Non so se fossero uomini o donne, nelle critiche non ho mai riscontrato una differenza, direi che c’è parità.
Grazie.
Gea Testi
Graces – drammaturgia e coreografia Silvia Gribaudi, Matteo Maffesanti – con Siro Guglielmi, Silvia Gribaudi, Matteo Marchesi, Andrea Rampazzo
visto a Kilowatt Festival, 21 luglio 2019
foto di Luca Giabardo, Giovanni Chiarot, Gea Testi