Filippo Lai, classe 1996, è stato scelto dalla regista Andrée Ruth Shammah per interpretare Renzo nello spettacolo metateatrale “I promessi sposi alla prova”, svoltosi al Teatro Era di Pontedera il 9 e il 10 marzo, al teatro della Pergola di Firenze dal 12 al 17 marzo e al teatro Franco Parenti di Milano dal 19 marzo al 7 aprile.
Ciao Filippo, iniziamo dicendo che se il giorno 23 marzo 2019 a Milano hai fatto un’intervista con Rai Radio 3, significa che non sei proprio l’ultimo arrivato e che quindi la nostra scelta di intervistarti è stata intelligente e sensata.
Cavolo, dicendo così, pare che io sia arrivato alle vette già da tempo, invece quella è stata la prima volta che ho avuto un’opportunità del genere ed ero molto emozionato e soprattutto contento.

Come vi siete preparati per lo spettacolo “I promessi sposi alla prova”?
Sicuramente il lavoro più grande e anche più difficile è stato quello sulla lingua, perché mentre io sono toscano, il personaggio che interpreto (Renzo, ndr ) è lombardo. In questo lavoro siamo stati aiutati da un esperto di dialetto lombardo. Abbiamo studiato a tavolino tutti insieme imparando non solo la pronuncia delle singole parole, ma anche e soprattutto la prosodia. Inoltre, ci siamo dovuti esercitare molto, sia perché eravamo tutti sempre in scena, sia perché dovevo interpretare, a tratti alterni, sia Renzo, sia l’attore che si recava alle prove proprio dello spettacolo “I promessi sposi”, da qui infatti il nome della rappresentazione: “I promessi sposi alla prova”.
Qual è l’aspetto che ti è piaciuto di più di questo spettacolo?
È difficile dirlo, ma molto probabilmente è stato il rapporto col pubblico, per due motivi. Innanzitutto, è stato molto interessante vedere la reazione degli spettatori ai vari episodi, che era diversa tutte le volte che andavamo in scena. In secondo luogo, il nostro intento era creare un legame col pubblico, promuovendolo addirittura a personaggio dello spettacolo e parte integrante di esso. Siamo arrivati ad un punto in cui la sua reazione determinava, in parte, lo sviluppo e l’andamento dello spettacolo.
Come vivi il tuo amore per il teatro, se di amore si può parlare?
Sì, questo davvero non può che essere amore. Per me al giorno d’oggi fare teatro è una necessità, perché con l’avvento e la diffusione di Internet e dei social networks, il teatro è rimasto uno dei pochissimi luoghi dove le persone sono presenti fisicamente e possono quindi interagire direttamente, senza la mediazione di uno schermo o di un qualunque altro apparecchio. Per questo, riallacciandomi anche al discorso di prima, per me il pubblico a teatro è davvero fondamentale.

Parlaci della tua gavetta artistica.
Allora, io ho cominciato a 8 anni, seguendo il corso di teatro della compagnia “Sognambuli”, operante a Firenze e diretta da Saverio Contarini, dal quale ho imparato che il teatro è un gioco molto serio: secondo me è la formula che più funziona per quanto riguarda l’approccio al teatro. A 16 anni ho poi fatto un master con Marco Giorgetti al teatro della Pergola di Firenze e successivamente è cominciato, sempre alla Pergola, il corso per attori chiamato “Orazio Costa”, al quale ho avuto la fortuna di essere stato ammesso.
Il corso di formazione è durato due anni, al termine dei quali ho preso parte al progetto “I nuovi del Niccolini”, al teatro Niccolini di Firenze. Lì, noi ragazzi ci occupiamo di tutto, dallo strappare i biglietti e tenere pulito il teatro al recitare. Questa è stata (ed è tutt’ora) per me una grande occasione, anche perché si fanno molti provini: è stato proprio a uno di questi che la regista Andrée Ruth Shammah mi ha notato e mi ha scelto per il ruolo di Renzo in questo spettacolo.

Quali sono state per te le difficoltà più grandi, da quando hai deciso di intraprendere questa carriera?
Sicuramente il primo aspetto che mi sento di sottolineare è proprio la mia scelta di fare del teatro la mia professione, visto che comunque ai giorni nostri il lavoro dell’attore è molto precario, perché non ti dà ovviamente né la stessa stabilità economica di un avvocato, né lo stipendio fisso di un insegnante. Inoltre, il teatro è un lavoro dell’essere umano, perché a teatro ci sei tu, col tuo corpo e la tua anima. Una grande difficoltà è stata per me dover conoscere me stesso in modo approfondito, ampliare le mie esperienze di vita per poterle portare poi sulla scena e anche scontrarmi con i miei difetti e i miei lati deboli. Tutto ciò si affronta solo in un lavoro complesso come quello dell’attore.
Che consigli ti senti di dare alle ragazze e ai ragazzi che vorrebbero intraprendere la tua stessa strada?
Per prima cosa, bisogna essere molto onesti con se stessi, ovvero capire se veramente si vuole rendere il teatro parte integrante della propria vita quotidiana. In tutto ciò, frequentare un’accademia può essere molto utile secondo me, perché essendo costretti a parlare di teatro tutti i giorni e a rapportarcisi continuamente, si capisce se veramente vogliamo buttarci in quest’avventura oppure no. Inoltre, consiglio di conoscersi bene e di decidere che tipo di attore si vuole essere, facendo delle proprie debolezze dei punti di forza e infine di affidarsi a delle grandi strutture, che permettano di avere un buon punto di partenza. Tutto ciò condito ovviamente da una grande forza di determinazione, senza la quale non è neanche lontanamente possibile inoltrarsi in questo ginepraio.

Hai qualche progetto futuro?
Sì, tornerò sicuramente dai miei compagni del teatro Niccolini, con i quali stiamo attuando dei progetti per quest’estate e inoltre vorrei contattare alcune agenzie cinematografiche di Roma per capire se per me si potrebbe aprire una porta anche sul mondo del cinema. Ovviamente poi continuerò a studiare testi, monologhi ecc., perché veramente non si finisce mai di imparare e perché ogni spettacolo è un mondo a sé, dove devi sempre ricominciare da capo.
Bene Filippo, grazie mille per questa intervista, speriamo di vederti al nostro Festival tra maggio e giugno.
Non mancherò sicuramente, grazie a voi per questa meravigliosa opportunità!
Giulia Giannattasio
foto di scena: Noemi Ardesi