Guardo negli occhi Daniele; sono gli occhi di un amico che schiva i complimenti e pensa di meritare solo le critiche. Al suo attivo ha almeno 15 anni di sacrifici, di sconforto ma anche di profonda e rinnovata gioia di vivere scoperta per caso, nel dedicarsi all’altro. E quell’altro siamo noi, siamo tutti; non solo le persone con disabilità. Tiziano Barbini e Paolo Cristini formano un duetto destinato a bucare non solo lo schermo, ma anche l’animo. Loro fanno gli attori di professione e a sentirglielo dire, con quelle smorfie e quei fremiti di soddisfazione, percepisco il cuore farsi largo talmente tanto che poi temo possa scoppiarmi dentro. Sono loro i protagonisti di UONTED!, cortometraggio che verrà presentato in anteprima il 12 aprile al Centro Affari di Arezzo, in occasione della serata “Poti Pictures: una casa di produzione fuori dal comune”.
Mi invitano ad accomodarmi e proprio quando sono seduti davanti a me, come due bimbi che aspettano la merenda, mi sento piccola anche io. Anzi, forse solo io. Li ho trovati indaffarati; alle prese con un piccolo video da girare come omaggio per una delle tante nobili cause a cui quotidianamente si dedicano. C’è un calore nella stanza che non so spiegare, ma che da diverso tempo vivo.
Tentare di definire la Poti Pictures è come imbottigliare l’oceano. Però chi è digiuno di questo cibo per l’anima deve sapere che la Poti Pictures si vive come si vive la vita, si prende come si prende la febbre, si assaggia come si assaggia un dolce. E il bello è che non se ne è mai sazi, senza conseguenze. Pablo Picasso diceva: ”Non giudicare sbagliato ciò che non conosci. Cogli l’occasione per comprendere”.
Così, oggi, ad aiutarci a comprendere ci sono tre persone ; Daniele, Sergio e Andrea. Daniele Bonarini è il regista ufficiale e direttore di questa piccola casa di produzione per persone con disabilità (la prima al mondo) che dal 2014 ha collezionato nei festival in giro per il mondo più di cinquanta premi, arrivando quindicesimi (ndr su 3500) al festival Amazon di New York.
Il suo storico collaboratore è Andrea Dalla Verde, autore del libro “Sarò una star. La vera storia della Poti Pictures” e cofondatore della casa di produzione. Invece, Sergio Staderini è uno degli ultimi arrivati che, nonostante il suo recente ingresso, si è guadagnato a pieno titolo la carica di “Presidente onorario”; onorificenza per cui manifesta un certo orgoglio.

Daniele, in che momento hai realizzato che il tuo impegno con i ragazzi della cooperativa sarebbe potuto essere qualcosa di più?
Sapevo che loro avrebbero occupato gran parte del mio tempo, ma mai come quando iniziai a montare il primo cortometraggio. Lì mi resi conto che sarebbe stato qualcosa a cui dedicare la mia vita, che avrebbe assorbito le mie energie e tutto il mio tempo. Stavo attraversando un momento buio della mia esistenza e nel frattempo il successo ottenuto con “Vicini dell’altro tipo” fu inaspettato (dovemmo usare due sale per far accomodare la gente) e mi colse davvero di sorpresa. Fu allora che dovetti fare una scelta; crogiolarmi nelle mie afflizioni e smarrirmi del tutto o lanciarmi in qualcosa che mi teneva ancora vivo. È successo tutto in modo graduale, lungo i 15 anni di cammino in cui io stesso, ovviamente, sono cresciuto; ammetto che vedere i risultati step by step, progetto dopo progetto (mai senza porte in faccia ) mi ha rinvigorito e non ho appeso la telecamera al chiodo, almeno per ora. (Ride, ndr).
Raccontaci del tuo rapporto con Tiziano e Paolo e di quanto sia stato difficile iniziarli a una recitazione professionale che lavorasse sull’emozione e, di conseguenza, sull’empatia.
Il rapporto è come quello con un fidanzato. Ebbene, io ho tre fratelli e a nessuno di loro controllo le gambe per vedere se l’ha punto un insetto e quanto sia grave. Con nessuno di loro parlo di paure, di sogni e speranze in maniera profonda. Coi miei fratelli non mi commuovo così, non li abbraccio allo stesso modo. Siamo più che uniti; ci schiaffeggiamo e poi subito dopo ci baciamo e tutto finisce in coccole. Sono molto cambiato; è evidente che mi sono ammorbidito. Del resto è inevitabile, loro abbattono tutti i muri con la loro umanità. Ti dicono che ti vogliono bene e così ti insegnano a essere vero. Lavorarci è stato complesso, basta pensare che il principio è sempre quello per cui io mi immedesimo in loro e gli spiego le battute degli script come se io fossi dentro di loro, vivendole dalla loro prospettiva.
Paolo aveva delle grandi difficoltà nel palesare le sue emozioni; parlare di se stesso (come avviene nel film, nonostante i personaggi non siano loro, ma simili a loro), aprirsi, denudarsi emotivamente è stato ostico. Mi sono rivolto a Sara Borri, un’amica psicoterapista che ha seguito il progetto sin dagli albori. Conosce questo tipo di dinamiche a livello patologico e mi ha aiutato a far vedere le loro possibilità non solo agli altri, ma anche a loro stessi.
Qual è la Dark Side della Poti Pictures? Ce n’è una?
Sì, è la presunzione. La Dark Side siamo noi; la mia e la nostra paura. È tutta la mancanza di fiducia e la presunzione utopica di voler cambiare l’ottica delle persone. Vogliamo far vedere al mondo quello che vediamo noi, raccontare tutta questa bellezza a cui ci pieghiamo perché è palese che ci sia e nulla è inventato. Personalmente ho il terrore di non farcela come regista, ma su di loro non ho dubbi.
Dopo tutti questi anni spesi con ragazzi come Tiziano e Paolo, coloro che oggi sono (purtroppo) etichettati come “diversi”, cos’hai capito della disabilità? Cos’è davanti alle passioni e ai sogni; impedimento o forza motrice?
Ho imparato che ci sono diverse tappe; è quello che si vede nel Terzo settore. Un conto è parlare di volontariato, un conto è parlare del mondo del lavoro, un conto è la vita normale. Personalmente odio il termine “volontariato”; quando nel 2000 sono entrato in cooperativa mi sono scontrato col mondo reale. Le mie aspettative erano totalmente sbagliate, ho dovuto cambiare approccio. Ho imparato a conoscermi, a trovare il vero Daniele. Grazie a loro io non vedo ostacoli, non vedo differenze.
L’aspetto fisico assistenziale non mi pesa, non è certamente quello lo scalino; io li sprono a darmi qualcosa, sia davanti alla telecamera che dietro. Spesso ho pensato “Perché l’ho fatto? Come mai sono qui?” E ho la tentazione di mollare, ma poi penso che se lo facessi sarei un mediocre, non avrei valore alcuno. È sicuramente un pretesto dove sia io che loro diamo e prendiamo gli uni dagli altri. Nella mia vita conta troppo l’amore, per me ingloba ogni cosa. Non ci sono piedistalli di altezza diversa; il mio criterio di giudizio s’è appianato e devo dire che per me va bene così. È questa la visuale che voglio avere.

Passiamo a te Andrea, come nasce l’idea di scrivere un libro come “Sarò una star. La vera storia della Poti Pictures”? Con quali esigenze si sviluppa?
L’obiettivo è “Ollivud” che è la meta della Poti Pictures. Ma non si tratta solo di un luogo; si tratta di un sentimento, di un’ideale, di un punto di arrivo ma anche di partenza. Il libro nasce dall’idea di voler mettere nero su bianco una storia che raccontasse – in modo romanzato – tutto il nostro percorso, per dare il giusto spessore a quella fase primordiale da cui via via si sono aggiunti molti volontari. Inizialmente abbiamo realizzato prodotti cinematografici di bassissimo livello (del resto, stavamo imparando, ci stavamo scoprendo). Va detto però che si trattava di prodotti di grandissima qualità umana, pieni di valori che rispecchiano in toto la cifra stilistica della Poti Pictures.
Il vostro non è un lavoro, ma una missione. Si tratta di un sogno comunitario che muove tutti e non è una semplice assistenza ai disabili; dietro ci sono tante sfumature. Nel libro tu dici che la Poti Pictures ha fatto della sua storia una storia d’amore, per cui si tratta di un carattere distintivo bello forte. Cosa vuol dire?
Partiamo da un’esperienza individuale di volontariato verso la disabilità ma anche collettiva – se vogliamo – perché io, Daniele e Michele siamo cresciuti nel contesto del servizio alla disabilità ed è così che abbiamo legato fra noi. È la storia di una famiglia che desidera che si smetta di parlare delle disabilità e che si cominci a parlare delle abilità delle persone. Sembra una frase fatta, ma in realtà è un programma politico, sociale, culturale: è un progetto di vita. Nel libro, per la cui stesura ci siamo confrontati tutti, volevamo rimarcare questi aspetti: noi abbiamo obiettivi talmente alti che forse per gli altri non sono compresi immediatamente, ma solo così possiamo scardinare alcune logiche. Non servono altre proposte di assistenza al disabile; ad Arezzo ce ne sono fin troppe. Noi vogliamo mostrare che anche il disabile grave/gravissimo può essere un attore e mettersi alla prova, può ridarsi dignità.

Quest’essenza della Poti Pictures così pura, così virtuosa potrà essere capita dallo spettatore seduto innanzi al Grande schermo?
Io credo di sì perché arriveremo pronti; siamo già pronti. Il pubblico si renderà conto che noi non abbiamo a che fare con un disabile che è capace di intendere, esprimersi e relazionarsi in maniera corretta. Noi facciamo un lavoro che permette a una persona come Tiziano di diventare un attore, di gestire tutto il suo mondo interiore (nascosto) e farcelo vedere. Gli diamo gli strumenti, lo facciamo crescere come persona e poi lavoriamo sulla recitazione. UONTED è stato il primo prodotto cinematografico della Poti Pictures con tutti i crismi del cinema; vedere che siamo partiti da un sogno a fare una cosa del genere è pazzesco. Anni fa non avremmo mai potuto crederlo, ma siamo sicuri che la Poti Pictures alla sua OLLIVUD ci arriverà.
Cosa credi che vi riserverà il futuro?
Nel nostro futuro vedo una Poti Pictures strutturata, in grado di portare avanti progetti internazionali. Basti pensare che abbiamo promosso una Academy in maniera unica e irripetibile tenendo ben presente un solo scopo: Valorizzare cosa il disabile sa fare, azzerando il concetto di “cittadino di serie B”. Non nascondo che sia stato umanamente e professionalmente difficile; chi verrà alla serata del 12 aprile vedrà solo l’aspetto più romantico della Poti Pictures, ma è sfiancante star qui tutti i giorni, pensare a un percorso, trovare le risorse, adoperarsi anima e corpo per ogni problema, sempre e a qualunque costo.

Mi sento di dire che è solo grazie ai nostri ideali che abbiamo affrontato e stiamo affrontando adesso tutto quanto. Il meccanismo è quello di un tritacarne visto che la nostra ambizione è quella di far cinema. E nel cinema le difficoltà sono molteplici; serve tempo, passione, denaro, persone che si spendono insieme a noi. Dovremo cercare di strutturarci come un’azienda che però non si delinei come un gruppo chiuso anzi, al contrario. La verità è che solo insieme possiamo arrivare a Ollivud.
Sergio, l’attaccamento che dimostri per la Poti Pictures ti fa sentire parte integrante di questa grande famiglia?
Assolutamente sì. Trovo che sia uno scopo nobile a cui molti dovrebbero aspirare. Si tratta di partecipare a una specie di ribellione. L’intento è quello di sovvertire il pregiudizio, cosa che combatto da una vita perché, pensandoci bene, cosa vuol dire essere “disabile”? Chi è diverso da chi? Chi non sa fare qualcosa rispetto a un altro? Tutti noi. Tutti siamo disabili davanti ad altri, tutti con talenti e difetti unici. Nel vedere i cortometraggi – e questo, senza essere tecnici del settore – ci si accorge che forse sono loro i veri maestri di vita; loro mi trasmettono emozioni che i “normali” non mi danno.
Usa tre aggettivi per descrivere la Poti Pictures e fai un saluto a tutti i nostri lettori
Genuina, appagante, formidabile. Spero che queste tre parole possano essere capite dalle persone che verranno il 12 aprile, ma soprattutto da chi sosterrà il nostro film.
Difatti, sembra che a questa “Presentazione ufficiale di nuovi progetti” della Poti Pictures nessuno voglia mancare. Già nelle ultime ore i nomi sulla lista invitati sono saliti alle stelle. Così, voi che state leggendo, forse commossi o solo incuriositi da questo microcosmo in procinto di diventare macro, non restate a casa. Il 12 aprile dalle 21 in poi la Poti Pictures vi aspetta presso il Centro Affari e Convegni Arezzo. Venite. Da amici. Da fratelli. Da folli compagni di avventure. Perché nessuno è diverso, ma tutti possono fare la differenza.
Arianna Sofia Staderini